La città delle cose dimenticate (film di Massimiliano Frezzato e Francesco Filippi)

Commento di Anna Vantaggio

Una storia, un disegno. Una storia raccontata in un unico disegno. Un film di animazione senza animazione. È così che viene presentato l’ultimo lavoro di Francesco Filippi e Massimiliano Frezzato. Un cortometraggio sperimentale, che mette lo spettatore nella condizione di immaginare l’animazione, di lasciarsi trasportare dal flusso delle immagini che scorrono delicatamente. “Preso per mano” dalla voce sognante di Lucia Gadolini che lo fa entrare nella storia, che lo fa incontrare con il signore di Sha.

Immaginando – o forse sognando, come la voce narrante della storia – di essere lì, in quel luogo, nella città delle cose dimenticate.

Una storia, un disegno, un sogno. Penso, a questo punto, di poter aggiungere. Perché l’intero racconto sembra essere un viaggio onirico all’interno della città delle cose dimenticate, in compagnia del signore di Sha, un adorabile merlo, e della sua bizzarra amica, la lumaca che – famelica – mangia le cose dimenticate, per poi trasformarle in farfalle.

 Lo spettatore “entra” nel sogno e non può che rimanere incantato dalla devozione con la quale il merlo porta avanti la sua missione: prendersi cura delle cose dimenticate, “non per la cosa, ma per la cura”. È questa la magia della storia. Il prendersi cura è il tema portante del racconto, un tema molto attuale in un’epoca durante la quale l’umanità ha innescato un vorticoso movimento centrifugo, che prima ossessivamente produce e poi immediatamente espelle – spazzandoli via – “oggetti” che non si trasformano, che intasano gli spazi d’incontro tra le persone, fino ad allontanarle anche da loro stesse.

Sono tante le cose delle quali il merlo si prende cura. Tra queste ci sono anche quelle più evanescenti, come le parole, che trattiene in una bottiglia, per poi liberarle via e piangere per questo. Lacrime che serviranno a curare i fantasmini dimenticati che, insieme alle paure si prenderanno cura di vecchi film e vecchie foto. Il merlo si prende anche cura dei sogni dimenticati e lo fa con i disegni, che lascia andare in fondo al mare, lì, negli abissi, in quel posto dove quei sogni sono andati a rifugiarsi.

Niente ferma l’incessante lavoro di cura del nostro merlo. Niente, tranne gli specchi. Quando ne incontra uno sembra immobilizzarsi: guarda dentro di esso e scorge l’immagine di un vecchio, del quale non sembra ricordare più nulla. Chi sarà quel vecchio? Inevitabile, per lo spettatore, farsi questa domanda.

Ad un certo punto, la sabbia vela lo specchio e così il nostro merlo torna instancabile alla sua attività di cura. Allora lo si segue andare nel cuore della sua città, nel punto più profondo. Lì c’è un pozzo, nel quale il merlo scende, portando con sé lo specchio. Lì sotto, inaspettatamente lo spettatore incontrerà una folla, un gruppo di persone grigie, trasparenti. Incontrerà le persone dimenticate. Il merlo se ne prende cura portando loro lo specchio: rispecchiandosi, le persone dimenticate possono riprendere colore e, in questo modo, prendere contatto con loro stesse.

Poi, arriva una guerra. Una guerra che porta dietro di sé un pianeta ferito ed agonizzante. Arriva lì – tra le tante “cose” scaraventate e abbandonate – nella città delle cose dimenticate, lasciando tutti sgomenti. Il merlo se ne dovrà prendere cura. Ma come? Con le lacrime di un vecchio, lacrime che disinfetteranno le ferite, con l’aiuto dei fantasmini che soffieranno delicatamente sulla ferita per non farla bruciare troppo. Ma la ferita è profonda, porta dentro di sé qualcosa di sconosciuto e pericoloso. Il merlo non si ferma e la estrae. Senza saperlo, provocherà una grande esplosione, scatenando una tempesta di ricordi rifiutati.

Ma ecco scendere la neve, silenziosa, docile e lenta. Cosicché le persone dimenticate possano risalire, ognuna di loro aggrappata ad un fiocco di neve. Il merlo, a questo punto, ha terminato la sua missione ed è pronto anche lui a volare via.

Sarà il sognatore a prenderne il posto, pronto a dimenticarsi di sé stesso per prendersi cura delle cose dimenticate. Perché è così che accade: bisogna lasciare andare una parte di Sé per poter accogliere l’Altro e, attraverso di esso ritrovarsi, trasformati.

Serve sapere il nome di qualcosa per prendersene cura?”, dice la voce sognante mentre prende il posto del merlo.

Incontrarsi, condividere, entrare in relazione con l’Altro, con lo sconosciuto. Avere il coraggio della vicinanza. Senza la supremazia della razionalità a tutti i costi, ma con l’apertura nei confronti dei sentimenti, guide verso traiettorie perturbanti di incontro, incroci tra aspetti conosciuti ed altri nuovi, imprevisti. All’insegna dell’incertezza, dell’accoglienza delle cose dimenticate, vivendo la paura per le stesse, ridando loro colore e consistenza. Immaginando, ed aprendo così la strada verso la realizzazione di un futuro differente.

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Ma chi era quel vecchio? Forse, il nostro merlo, portando a compimento la sua missione nella città delle cose dimenticate, potrà a questo punto ricongiungersi con l’immagine di sé stesso riflessa nello specchio e far tornare quel vecchio a prendersi cura dei propri sogni? Potrà tornare a piangere e soffrire per essi, facendo sgorgare lacrime che serviranno a curare il desiderio per la vita?

Perdersi e ritrovarsi nei sogni, alla ricerca delle parti più silenziose di sé stessi. Questo significa ri-nascere, tornando a prendersi cura di sé stessi e dell’umanità che ci circonda.