Quando c’era Marnie (Regia di H. Yonebayashi)

“A questo mondo esiste un cerchio invisibile. Il cerchio ha un di dentro e un di fuori. Queste sono persone al di dentro. E poi io sono una persona al di fuori. Ma di questo non mi importa”. Questi pensieri attraversano la mente di Anna mentre guarda i ragazzini giocare e ridere nel cortile della sua scuola. E’ la prima scena del lungometraggio d’animazione giapponese “Quando c’era Marnie”, prodotto dallo Studio Ghibli nel 2014 con la regia di H. Yonebayashi. Un film che colpisce per la trama misteriosa e coinvolgente, che pur rivelandosi in tutta la sua drammaticità apre la strada ad una riflessione profonda sugli ostacoli insiti nel delicato passaggio dall’infanzia all’adolescenza e nella costruzione dell’identità: questo processo può essere sentito come molto più difficile laddove manchi la conoscenza della propria storia personale, come accade alla protagonista.

Con una sapiente fluidità, nella narrazione si alternano il mondo interno di Anna e la realtà degli eventi, che, intrecciandosi, accentuano la nota enigmatica del film. Anna ha dodici anni e vive con i suoi “zietti”, ovvero i genitori adottivi, da quando era molto piccola, in seguito alla morte dei suoi genitori biologici. Non sa altro delle sue origini, ma quotidianamente vede e vive la sua diversità, il senso di non appartenenza ad una comunità orientale. E’, infatti, una ragazza dagli occhi azzurri, con spiccati tratti occidentali. Soffre di attacchi di panico, che, non capiti, vengono scambiati per asma dai medici. Uno di questi attacchi segue i pensieri di Anna in apertura della prima scena, quando ancora una volta si sente esclusa dal “cerchio”. Perché guarisca dalla sua “malattia”, la madre adottiva decide, su consiglio del medico, di mandarla dagli zii, che vivono in una località verdeggiante e salubre, decisione vissuta da Anna come un’ulteriore espulsione. Ma, una volta giunta nella cittadina, Anna viene accolta calorosamente, gli zii che la ospitano si rivelano persone gioiose e vitali, molto meno apprensivi della madre adottiva. Scopre la possibilità di esplorare il luogo, comincia a disegnare i nuovi paesaggi ed è particolarmente colpita da una villa disabitata, situata su un acquitrino e dall’aspetto per lei familiare. 

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