Stella (film di S. Verheyde)

E’ possibile tracciare nuove rotte anche quando sembra esserci un unico sentiero percorribile? Il film “Stella” (2008) di Sylvie Verheyde pare offrire un esempio importante della capacità di resistere con tenacia alle trame di un destino famigliare e di concedersi un cammino di vita differente: un’occasione riconosciuta e colta nella forza vitale che si sprigiona da un nuovo legame, sincero e profondo, che stimola il pensiero e fa largo a un sentimento di fiducia e di creatività.

Il titolo “Stella” è il nome della protagonista, una ragazzina di 11 anni nel difficile passaggio dalla fine delle elementari alla I media, in una classe tutta nuova da affrontare. Stella vive inconsapevolmente le difficoltà storiche e sociali della Francia degli anni ’70, dove ancora albergano come fantasmi i residui bellici interiori della strage nazista. Il trauma dell’olocausto è ancora presente: è nell’insegnante di inglese, una donna sopravvissuta ai campi di sterminio e ora maltrattante nei confronti dei suoi allievi; è presente come memoria storica in Gladys, la compagna di classe che diventerà la migliore amica di Stella. Gladys è ebrea, vive in un ambiente famigliare intellettuale e colto e sembra aver dato un senso alle sue origini. La regista offre uno scorcio della realtà francese dell’epoca, dove i ceti sociali sono estremamente divisi e vige una discriminazione netta per la classe più svantaggiata, relegata ai margini della società. Stella appartiene a questo ambiente. E’ la sua voce a presentarsi allo spettatore e ad accompagnarlo nello svolgersi della pellicola. Figlia di una giovane coppia dove non c’è più amore né condivisione, Stella abita in un appartamento sopra al bar della famiglia. In altre stanze annesse al bar, vivono a mezza pensione molti uomini, senza tetto o alcolisti, ai quali l’assistenza sociale ha assegnato questa sistemazione.

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